Floriana Conte
Per la cronologia e la lettura iconografica di Salvator Rosa pittore erudito: il caso dei quattro dipinti del Museo Statale Ermitage
Il mio libro (in fase conclusiva) sulla fortuna storica di Salvator Rosa dal XVII al XX secolo in Europa ha assunto una forma meglio definita grazie alle ricerche consentite dalla borsa di studio. Decisivo impulso è venuto da due occasioni: l’ospitalità scientifica offertami dal Museo Ermitage nella prima settimana di settembre 2011 e l’invito di Francesca Cappelletti e Irina Artemieva a tenere una relazione intitolata: Proposte per Massimo Stanzione: 1. la cronologia, le iconografie, i committenti; 2. le fonti (con Andrea Lazzarini), al convegno internazionale sulla pittura italiana del Seicento all’Ermitage (Roma, Palazzo Barberini, 20 ottobre 2011). Entrambe le occasioni hanno portato la ricerca a strutturarsi come una storia dell’arte tra i territori italiani dominati dagli spagnoli e quelli dominati dal papa e dai Medici: in questo quadro, estendere l’indagine alla situazione esistente in questi territori prima e dopo la definitiva partenza di Salvator Rosa da Napoli a metà degli anni Trenta, ha permesso di conoscere meglio diversi aspetti della sua professionalità di scrittore di satire in terzine dantesche, pittore con aspirazioni erudite, membro di accademie letterarie e perciò destinatario dell’imponente messe di testi poetici e prosastici in latino e volgare in cui si menziona la sua attività poetica (di questi scritti preparo l’edizione nel libro). È stato necessario riflettere sulle opere attribuite a Salvator Rosa e ad artisti contemporanei attivi tra Napoli, Roma e Firenze riportate all’attenzione della comunità scientifica grazie a Svetlana Vsevoložskaja, della quale la FEI ha pubblicato il catalogo postumo della collezione di pittura italiana del Seicento del Museo Ermitage. Il mio lavoro, condotto grazie alla enorme disponibilità riservatami dai funzionari del Museo, si è concentrato in particolare su tre gruppi di tele strettamente connessi tra loro e visibili nelle sale dedicate ai caravaggeschi e nei depositi. Il primo nucleo è costituito dalle tele autografe di Salvator Rosa con Ulisse e Nausicaa (cat. 231), Democrito e Protagora (La vocazione di Protagora alla filosofia) (cat. 230), Il figliol prodigo (cat. 232), e un Ritratto d’uomo (cat. 233). L’esame diretto del Figliol prodigo si è rivelato prezioso, anche perché non era stato possibile fino a ora leggere il quadro insieme alle opere precedenti agli anni Sessanta nelle mostre dedicate a Rosa fino al 2010. La tela appare con ogni evidenza riconducibile ai primi anni Quaranta e, per i dati di stile e il rapporto peculiare con l’iconografia religiosa, appare confermare il profilo di un Rosa ‘caravaggista’ che avevo ipotizzato poco prima del mio soggiorno all’Ermitage studiando la più tarda Madonna delle anime purganti (già a Milano in San Giovanni Decollato, ora presso la Pinacoteca di Brera, Sala della Passione).
Il secondo nucleo di opere è costituito da quattro tele dei depositi riprodotte in bianco e nero in catalogo dalla Vsevoložskaja che opportunamente le riconduce alla cerchia di Salvator Rosa: si tratta del Paesaggio con pescatore e lavandaia (cat. 234), del Paesaggio con figure (cat. 235), del Paesaggio con viandante (cat. 236) e dei Briganti in riva al mare (cat. 237). L´ individuazione, per quanto possibile, delle mani dei collaboratori, dei copisti (autorizzati e no) e degli imitatori è indispensabile per una migliore conoscenza dell’opera autografa di Rosa. Delle quattro tele si sono verificate tecnica, misure e stato di conservazione e si è avanzata una proposta di datazione di ognuna di esse, stabilendone i rapporti con le composizioni autografe di Rosa da cui dipendono; tra l’altro, del Paesaggio con pescatore e lavandaia (cat. 234) è stato possibile correggere il titolo assegnatogli in catalogo, avvicinando il soggetto all’episodio narrato da Ovidio, Metamorfosi, IV, 611, in relazione a Danae e Perseo raccolti da Ditte sull’isola di Serifo.
Infine, la preparazione della relazione al convegno sulla pittura italiana del Seicento ha motivato l’esame contestuale delle tele attribuite in catalogo ai caravaggeschi attivi tra Napoli e Roma, con particolare attenzione per Massimo Stanzione: in particolare, la Cleopatra morente (cat. 264), di sicura autografia e siglata, ha richiesto una disamina dei dati di stile e di iconografia, oltre a una verifica sulla provenienza presunta in catalogo. Poiché a Stanzione, per merito del biografo Bernardo De Dominici, è capitato in sorte di entrare nella tradizione della folta schiera di artisti che scrivono con una progettualità organica, l’indagine ha richiesto verifiche su tale dato. I nonnumerosi documenti autografi attribuibili a Stanzione e le fonti manoscritte e a stampa non restituiscono mai testimonianza di una effettiva sua attività letteraria, né sistematica né episodica. Di solito invece le fonti contemporanee assegnano rilievo all’attività letteraria in volgare degli artisti, la cui legittimazione viene rinforzata attraverso l’ammissione in qualche prestigiosa accademia, come dimostra proprio il caso di Salvator Rosa.