Paola Goretti
Cabinet de Beautè. La galleria delle belle di Peterhof di Pietro Antonio Rotari e la grazia femminile all’Ermitage
Ruba il cuore la Galleria delle mode e delle grazie di Pietro Antonio Rotari (368 dipinti). Come ogni luogo unico al mondo, a Peterhof. Una sorta di camera delle meraviglie licenziata dall’artista a partire dal suo soggiorno Pietroburghese (1752-54) ma così assemblata da Caterina II di Russia, due anni dopo la morte del pittore.
Per dar conto della complessità di questo Atlante delle Belle e tracciarne le principali coordinate, il lavoro qui proposto si è articolato attorno ad alcuni nuclei di ragionamento; seguendo gli itinerari degli antecedenti pittorici, anzitutto, per dar conto della catena genealogica a cui la stanza partecipa. Individuando poi alcuni fondamentali testi a stampa di produzione veneziana che si configurano come probabili fonti di ispirazione dell’intero tracciato pittorico. Infine, collocando le soluzioni pietroburghesi certamente nel solco di una tradizione consolidata ma, al tempo stesso, nelle prospettive di un enorme scarto alla norma. Più di un semplice censimento di bellezze alla moda, il Cabinet di Rotari risulterebbe infatti un vastissimo progetto di educazione sentimentale racchiudente tutti i moti dell’animo, profondamente implicato con il dibattito fisiognomico nascente e con gli studi sulle arie dei volti.
Atlante delle Belle Illustri: i precedenti
Ricognizione sull’intricatissima selva italiana che costituisce il lungo antecedente genealogico del Cabinet di beauté di Peterhof, specie nei precedenti seicenteschi di impronta romana e laziale, a loro volta dipendenti da un foltissimo ginepraio di “Gallerie di Belle” di matrice cinquecentesca sparse in palazzi nobiliari e in eclettiche collezioni (figlie a loro volta di una lunga tradizione di impronta didascalico-letteraria tardo medievale -i blasoni, i florilegi- che collocavano nell’esaltazione donnesca i tratti gentili dell’orgoglio dinastico e i miti di fondazione di alcune eminenti realtà cittadine). A loro volta innestati alle sapienze della tradizione classica, alle genealogie divine, ai miti d’acqua e ai canti d’amore sgorganti della notte dei tempi. Ampia rendicontazione su Belle libresche, Belle maiolicate, Belle di famiglia, Belle illustri dell’antichità, Belle in ritratto di corte. Un grande campionario di umane genti da cui trarre insegnamento, per perpetuare e presentificare la storia
Questi “francobolli” di dame definiscono perlopiù la gloria del casato, divenendo la cifra dell’eleganza. Ma a prevalere, è pur sempre l’anima barocca. Esterna, magniloquente, ridondante. Totalmente vestimentaria, totalmente di apparato. Una strepitosa parata di abiti che insiste sugli snodi monumentali della cura vestimentaria. Millimetrica ed estenuante. Là – a Peterhof- una catalogica di modi e di moti languenti che liquida l’antico fondo di parata per innalzarlo e renderlo canto delle effusioni, estetica degli affetti, postura ariosa. Sentimento. Una novità assoluta, totalmente radicata sulle passioni.
Almanacco delle donne venete: 365 illustri
Individuazione di un’insospettabile “operina” anonima (l’Almanacco delle Donne illustri) licenziata a Venezia nel 1750, che ha buoni motivi per essere ritenuta l’antecedente più prossimo dell’atlante di Peterhof. L’opera letteraria è in larga misura attribuibile a Luisa Bergalli (Venezia, 1703-1779), nota scrittrice in contatto coi più illustri intellettuali del tempo (moglie di Gasparo Gozzi, in amicizia con Scipione Maffei; a sua volta vicino a Pietro Antonio Rotari).
L’importantissimo almanacco è costruito in forma di calendario e dedica ognuno dei 365 giorni dell’anno ad una santa, illustrandolo con una figura femminile celebrata per le sue doti di virtù, saggezza, ingegno. Il testo non è un lunario vero e proprio; non appaiono infatti pronostici, previsioni, eclissi, quarti di luna calante e crescente; non profezie delle comete o annunci di catastrofi, ma forme del memorandum femminile. In stile “minore”, ispirato agli almanacchi in cui la misurazione delle scorrere dei giorni avveniva seguendo l’ordine dei lavori agresti e le fasi degli astri, il “donnario” di Venezia è lode al tempo calato nel tempo, grondante nella girandola della storia.
Piccola enciclopedia popolare inquadrabile all’interno di un progetto educativo laico mirante alla formazione della società civile, esso accorpa così filiere e filiere di donne; da quelle antiche (Diotima, Ipazia) alle stoiche romane (Camilla, Lucrezia, Livia); dalle regine, imperatrici e fondatrici di ordini religiosi (Caterina da Siena, Orsola Benincasa) fino alle immancabili poetesse: Vittoria Colonna, Veronica Gambara, Olimpia Morata. Ma dava conto anche delle cugine francesi (Madame de La Fayette) e delle donne pittrici, naturalmente. Sofonisba in primis.
Le relazioni col Cabinet pietroburghese avanzate in queste riflessioni sono ancora in stato nascente ma impongono l’annotazione di una singolare coincidenza, questa volta di natura numerologica:
365 è il numero delle donne dell’almanacco veneziano; una per giorno
368 è il numero delle donne di Peterhof.
Quest’ultimo numero sfugge a qualsiasi comprensione perché non se ne capisce la simbologia. Potrebbe, Caterina II che ne ordina l’assetto aver pensato a sua volta a un lunario da muro? Le tre unità di scarto che separano i due cicli (365; 368) impedendo la totale sovrapposizione, in che modo vanno sciolte? Ci sono forse delle indicazioni nel calendario russo che vanno indagate con l’apposita cabala? Può essere il Cabinet di Rotari una sorta di “calendario da muro” dedicato alle passioni dell’animo femminile, come una partitura sulle stagioni, temperamenti e luoghi dell’intimità affettiva, in sintonia con le tendenze più aggiornate della cultura europea? Il suo è un andamento ciclico molto speciale, infinitamente ricorrente, con figure che si ripetono, tornano e muovono –tutte assieme- l’immensa ciclicità del tutto. Le gerarchie dinastiche della più straziante linearità vengono ammansite dal gioco gaudente -perpetuo, imperpetuo- delle stagioni, mediante il quale trovare consolazione. E il prototipo veneziano ne pare davvero il più immediato ispiratore.
I sensi in amore: Rotari e la fisiognomica delle passioni
L’Atlante di Peterhof è però anche un grande progetto sentimentale che punta dritto al cuore delle passioni, saldamente implicato con gli studi di fisiognomica di Charles Le Brun (l’edizione della Conferenza di Le Brun stampata a Verona nel 1751 è espressamente dedicata a Rotari) con i moti corporis et animae e la visibilità degli affetti. Rotari allenta il debito di matrice cartesiana, mantiene sullo sfondo il discorso fisiognomico e lo allarga verso infinite sfumature.
La sezione qui affrontata insiste su tutto il dibattito fisiognomico in corso, apre all’intreccio con numerose figure di intellettuali europei (Algarotti in primis), affronta il tema della luce e dei suoi composti –tra fisica e poesia-, attraversa i tratti della letteratura artistica del tempo (carteggi tra Algarotti, Scipione Maffei, Rotari e altri ancora ), sviluppa la poesia delle stagioni, insiste sul tema della “grazia” e del “non so che”, inquadra la ritrattistica che si fa “respiro e moto” mediante il boom delle “teste di carattere” e l’aria delle “mezze figure”, tratteggia il gusto di un’intera generazione (Sebastiano Ricci, Pietro Longhi, Giambattista Piazzetta la divina Rosalba, Giuseppe Nogari, Francesco Fontebasso, Saverio Dalla Rosa, Nicola Grassi, Bartolomeo Nazzari), così impegnata verso una produzione torrenziale di piccoli ritratti intimi: oltre la posa di maniera, nella qualità senza addobbo della dottrina di legamenti, sintesi del moto tutto. Come se fosse musica.
Ed è proprio la musica che sembra condividere l’andamento del catalogo di Rotari: Nono Concerto di François Couperin (1668-1733) dedicato al “Ritratto d’Amore” in cui compaiono, in ordine, i movimenti di: Le Charme; l’Enjouement; Les Grace, Courante Françoise; Le je ne say quoi; La Vivacité; Le Noble Fierté, Sarabande; La Douceur; l’Et Caetera ou Menuet; 5 concerti per violino di Antonio Vivaldi (1678-1741) su Le Humane Passioni di Antonio Vivaldi, che col catalogo di Rotari sembra condividere l’andatura, meditata sulle teorizzazioni fisiognomiche e patognomiche in corso.
Il Cabinet di Pietro Antonio Rotari converte allora in forma mondana e pittorica ciò che era stato lungamente teorizzato nelle qualità degli affetti, come a proseguirne l’operato per altra via, portando a maturazione quello che giaceva nel magma dell’astrolabio seicentesco mediante un tratto soave, sgravato dalle giaculatorie ermetiche, più pronto al vezzo e al riso. Togliendo peso, aggiungendo aria. Slargando verso una struggente sfaldatura aerea.
Con il Cabinet di Peterhof, il viso è un gesto che prende il nome di aria. L’aria: molto di più del dato fisiognomico, più della stessa espressione, sintesi per tutto catturare (soma, carattere, portamento, vestizione, altro), sostanza complessiva dell’individuo. L’aria, accordo armonioso tra le parti, attitudine, tratto dell’anima che racchiude il movimento totale: compendio amabile, animante. L’aria, impronta del moto, il suo languire morente rinnovante perpetuo. E l’aria, ha la sua partitura.
Esiste un “piano dell’opera” volontario e ragionato? Esiste un modello di suddivisione degli spazi, una progressione geometrica, una ripetizione seriale? Esiste una griglia all’interno della quale inserire le sequenze? E le sequenze, hanno una numerazione (3 dipinti dello stesso formato + 1 più grande, etc.,) o sono frutto di casuali coincidenze? E ancora, le damine sono disposte secondo un ordine che procede per linee affettive dei “moti”, oltre che per linee geometriche? Ha un senso cercarne gli andamenti? A zig zag, per direzioni trasversali? Le passioni seguono un pentagramma leggibile? La stanza sembrerebbe proporre uno schema perfettamente speculare, riproponendo in entrambe le pareti le stesse identiche suddivisioni che spartiscono la materia femminile secondo un trattamento che ancora sfugge. Se ne intuiscono le algebriche suonerie, ma sfugge la regola della spartizione, i criteri dell’alloggiamento delle note. Le figure si ripetono, si alternano, si danno il cambio, si danno la voce; interpretando tutto il teatro del mondo.
La posa è civettuola, sorridente, benevola, piangente, sonnolenta o intenta a osservare con seduttiva innocenza attraverso le palpebre semichiuse. Ma anche languente, ammiccante, scontrosa, imbronciata, maliziosa, in un carosello di proposte aggraziatissime che abbinano ai tratti fisiognomici un'enorme catalogica vestimentaria (che però, non sovrasta il resto; semai, lo accompagna), invitante al mistero degli "arcani modistici", in cui la corte tutta si riflette, in un appassionato gioco di sguardi che pare alludere tanto alla nomenclatura dell'Elenco che a quella delle sue infinite varianti.
Ecco dunque una ipotesi di mappatura delle “arie”, i cui approfondimenti –sezione per sezione- sono qui solo accennati
1. Russerie (la bella circassa inturbantata)
2. La Lieta Soave
3. La Contadina
4. La Vecchia
5. La Pensosa Languidetta (la Trasognante)
6. La Smorfiosetta (con ventaglio, con maschera, con libro)
7. La Curiosa
8. La Spavalda
9. La Cucitrice
10. La Dormiente
11. L’Elegantissima
12. Mater lacrimosa
La Ricerca qui proposta vuole proseguire il suo tracciato anche nei confronti con altri dipinti e sculture di “belle” reali o ideali presenti all’Ermitage, a Rotari coevi o di poco successivi. Il pennello o lo scalpello di alcuni artisti (Alexix Grimou, Jean Marc Nattière, Jean Baptiste Greuze, François Boucher, Elizabeth Vigée Le Brun, Ètienne Maurice Falconet, il bolognese Stefano Torelli, Giovan Battista Lampi, Anton Raphael Mengs, Thomas Gainsborough, Gorge Romney) compatta un clima internazionale nei caratteri di grazia e bellezza e definisce l’inquadramento del cosiddetto “Ritratto alla moda”. Sontuoso o intimista, sensuale e arciprofano, in dialogo con gli elementi del gusto, dello stile, della società.