Mark Kramarovskji

"Porta Vonitiche vel Filatorum" di Caffa e i tessuti italiani nel XIV-XV secolo nel Caucaso settentrionale

Mark Kramarovskji

L’incremento, nel corso del Medioevo, dei rapporti commerciali nel territorio del mar Nero settentrionale e del Caucaso determinò lo sviluppo di importanti centri commerciali e artigianali, nei quali convivevano persone provenienti dalle repubbliche italiane, da Bisanzio, dall’Armenia e dalla Cilicia, altre appartenenti all’Orda d’Oro o provenienti dai paesi del Medio Oriente. Fra questi il centro genovese-tartaro di Caffa (territorio dell’attuale Teodosia) aveva la fama di essere la città più ricca e più grande.
 
L’affermazione in Eurasia, a partire dagli anni quaranta del XIII secolo, della pax Mongolica creò le premesse per nuovi contatti fra Oriente e Occidente. Nella seconda metà del XIII secolo e fino al primo terzo del XV si rivelò d’importanza fondamentale la rotta settentrionale dei percorsi commerciali transcontinentali, nota con il nome di “Grande Via della Seta”. Essa collegava le repubbliche marinare dell’Italia attraverso i porti del mar Nero, compresa la Crimea e la zona di Azov, con l’Asia centrale e la Cina.
 
Dopo la caduta del potere dei crociati in Siria (1291) e la soppressione dei divieti papali del commercio con l’Egitto, la via settentrionale, da Trapesund fino a Tebriz, attraverso i monti del Ponto, acquistò maggiore importanza rispetto a quella meridionale. Un fattore decisivo fu l’apertura da parte dei Paleologhi dello stretto del mar Nero nell’anno 1261 e l’integrazione politica della parte nord-orientale della riva del Ponto nell’Ulus Giuci (l’Orda d’Oro). Le decisioni politiche e commerciali di questo khanato furono fondamentali per l’incremento del commercio internazionale nel territorio della steppa. Fra le iniziative più importanti vi fu la formazione di una zona di contatto fra l’Orda e i latini: Solhat, sotto il controllo crimeo, e il territorio attorno ad Azov, sotto il controllo di Azak-Tana. Lo sviluppo del commercio fu stimolato da dazi doganali vantaggiosi (fino al tre per cento) sulle entrate e le uscite delle merci europee.
 
Il viaggio da Oriente verso Occidente iniziava nella capitale della Cina dei mongoli Khanbalik (Pechino, in italiano Gamalecco) e da lì continuava verso Hangzhou (Kassay) e Langzhou (Kamesu) nella provincia di Ghanzhou. Più lontano, attraverso Huzhou (Almalyk), il percorso proseguiva in direzione di Otrar (qui iniziava la parte di via dell’Orda d’Oro) e attraverso Kung-Urgench fino a Khorezm. Da Khorezm le rotte passavano da Saraychik, sugli Urali, e poi da Saraychik a Khagitarkhan (Astrachan’), situata nel delta del Volga (Itilija). Nella tratta da Khagitarkhan a Saraj, la Grande Via della Seta si univa con l’importante percorso commerciale del Volga. Dopo Belgiam, dove il Volga e il Don si dividono solo per sessanta chilometri, si incrociavano le imbarcazioni e si scambiavano le merci; il transito proseguiva nella zona di Azov fino ad Azaka (Tana), da dove una strada nella steppa portava a Solkhat-Crimea. Da qui, una sola giornata di viaggio separava la carovana dei mercanti dalle porte Solkhat di Caffa. Il percorso Tana-Caffa univa anche il tragitto via mare dal mare di Azov al mar Nero.
 
Fino agli anni sessanta del XIII secolo, la città portuale di Sugdak (Sugdeja, Soldajja) – che nelle fonti russe viene chiamata Surozha – mantenne il primato come centro commerciale da cui partivano le merci provenienti dai paesi del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell’Asia Minore per Desht-i Kypchaj e per le terre russe occidentali. Lo sviluppo del commercio sul mar Nero nel primo terzo del XIII secolo portò a una competizione per il predominio marittimo tra l’impero di Trebisonda e i selgiuchidi di Rum, che in breve tempo conquisteranno Sugdak (Sudak).
 
Verso il 1319 per la prima volta in una cronaca russa viene nominato il “mare di Surozh”; nel 1356 dalla Crimea giunge a Mosca l’ambasciatore dell’Orda d’Oro Irynchej e con lui un gruppo di mercanti che operavano in quell’area, noti con il nome di “ospiti di Surozha”. I mercanti italiani, perlomeno per tutto il periodo a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, a partire dall’epoca del khan Uzbek (1312-1342), intraprendevano viaggi verso Mosca attraverso la genovese Caffa e la veneziana Tana.
 
Secondo le cronache russe, per raggiungere Mosca – e per tornare – dalle sponde del mar Nero vengono seguite quattro vie: la via terrestre da Caffa attraverso la Crimea; due varianti di percorsi fluviali da Tana (Azaka) attraverso il Don e il passaggio del Don nel Volga in direzione di Saraj; infine da Akkerman (Belgorod-Dnestrovskij) sfruttando il sistema di Dnestrovskij.
 
Nella seconda metà del XV secolo la genovese Caffa continuò ancora a svolgere un ruolo dominante nel commercio dei prodotti tessili europei e del Levante. Da Caffa i tessuti d’importazione e i manufatti di produzione locale si diffondevano attraverso la rete occidentale- caucasica; lungo la fascia costiera sono circa venti gli altri centri commerciali genovesi, tra cui si distinguono per i propri mercati Kopa e Matrega.
 
Alla vigilia della caduta di Caffa, nella città avevano assunto una posizione dominante le ricchissime famiglie della Repubblica Genovese Del Pino (Gregorus de Pini), Di Gaspi (Lodixius de Gaspe) e Centurione (Sistus Centurionus). Arrivavano in città, accanto ai tessuti di lana, lino e cotone, anche le sete italiane: taffettà cremisi, celesti, velluti cremisi, camocati intessuti d’oro. La menzione, all’inizio del XV secolo, da parte del vescovo Iohannes Galonifontibus delle sete e dei tessitori di kamlot di Caffa non lascia adito a dubbi sullo sviluppo in quella città di una produzione tessile locale. Esistevano anche botteghe tessili legate alla cantieristica navale, ma i filatores che fabbricavano le vele appartenevano all’organizzazione degli artigiani impegnati nella produzione di imbarcazioni. Qui c’era anche una produzione di cinture tessute.
 
L’attività tessile come artigianato specializzato e, soprattutto, come luogo di concentrazione delle botteghe dove si producevano tessuti è testimoniata dal nome di una delle sei porte della cittadella di Caffa: Porta Vonitiche vel Filatorum, cioè “Porta dei filatori”. Le sete di Caffa, come altri manufatti tessili locali di diverso genere, costituiscono un particolare problema di attribuzione.
 
Attorno al 1475, quando la città, che si trovava sotto il controllo del Banco di San Giorgio, cadde sotto i colpi dei turchi, si venne a creare probabilmente un discrimine storico, dopo il quale l’enorme flusso di importazioni italiane verso le rive del mar Nero nordorientale, se non scomparve27, quantomeno si indebolì o mutò radicalmente.
 
Nella collezione dell’Ermitage si conserva un piccolo gruppo di tessuti europei provenienti da tre kurgàn del cimitero di Belorechensk. Il cimitero è stato scoperto dall’archeologo pietroburghese professor N.I. Veselovskij nel 1896 nel Caucaso nord-occidentale presso il villaggio di Belorechensk, sul fiume Bela, affluente di sinistra del Kuban’28. È stato appurato che i kurgàn appartenevano ad adighi medievali, i quali abitavano gli ampi territori della steppa e la parte pedemontana del Caucaso settentrionale. Nei secoli XIIIXV, attraverso fusioni di stirpi diverse, gli adighi entrarono a far parte dell’Orda d’Oro. Con sete e broccati si rivestivano esternamente e internamente le bare lignee; in alcune sepolture femminili sono stati rinvenuti rivestimenti con ricami in fili d’argento o d’oro29. Tra i manufatti tessili, accanto ai resti di indumenti maschili e femminili, acconciature e cappelli maschili e femminili e borse da tabacco, sono state trovate cinture di tessuto nelle sepolture dei kurgàn contrassegnate con i numeri 10, 12, 15 e 45. A noi interessano prevalentemente i tessuti con i quali un tempo furono confezionate le vesti femminili delle tombe 10, 12 e 20.
 
All’Ermitage si conservano tre frammenti di tessuti che, a quanto pare, appartenevano al corredo funebre dei kurgàn 10 e 12. La seta era originariamente di colore verde. Sempre alla tomba 10 si riferisce il frammento TB-330 della collezione dell’Ermitage. La seta presenta un motivo a foglia polilobata con al centro un fiore di cardo circondato da rosette a otto petali. L’intervallo tra una foglia e l’altra è riempito da una delicata decorazione vegetale. È questo un motivo tipico di molte sete italiane, che fa la sua comparsa nella produzione tessile verso la metà del XIV secolo. Tuttavia, per la tecnica di esecuzione e i dettagli del disegno, le sete di questo periodo si distinguono nettamente da quella ritrovata a Belorechensk. Tra gli esemplari analoghi si possono ricordare tessuti comparsi non prima del XV secolo con un decoro più complesso. In questo periodo le composizioni che hanno come tema principale il cardo diventano prevalenti nella produzione italiana. Sulla base delle caratteristiche del disegno, è possibile datare i nostri tessuti alla seconda metà del XV secolo; tuttavia la localizzazione della loro manifattura rimane una questione ancora aperta.
 
La cintura conservata con il caffettano è formata da una striscia dotata di placchette con un dispositivo di chiusura, una fibbia e una piastra-puntale al fondo (OAK 1896, fig. 189-191). Nelle forme delle piastrepuntali con bordi sagomati si riscontra un collegamento con la tradizione europea dell’alto e tardo Medioevo. Puntali simili sono stati ritrovati nei kurgàn di Kabarda.
 
In una delle tombe femminili, il kurgàn 20, sono tate trovate alcune monete, la più recente delle quali risale all’inizio del secondo terzo del XV secolo. Nel sito altre monete non sono state rinvenute. Tra gli altri materiali di scavo che consentono una datazione, oltre ai tessuti, si trova un gruppo di vetri incolori, forse liguri, che potrebbe provenire da una bottega di vetrai specializzati. I vetri quindi potevano essere stati lavorati nella genovese Caffa, ma anche far parte di quei prodotti diversi che costituivano l’oggetto degli scambi commerciali nella città dopo il 1453, quando gli ottomani conquistarono Costantinopoli. Per i tessuti esaminati rimane incerta la manifattura: tutti sono in ogni modo databili a un periodo che non va oltre la fine del XV secolo, dopo di che il luogo non fu più utilizzato per sepolture.